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Come fa presto a cambiare il vento!
Lunedì 7 Dicembre
Tutto procede per il meglio, finalmente il ginocchio mi sostiene e comincio a camminare. E così cominciano le passeggiate con le stampelle lungo i corridoi a trovare i compagni e
compagne di operazione.
Si chiacchiera, ci si confronta, ci si sostiene. Mi conforta sentire l’allegro vociare delle vicine di camera che chiacchierano amabilmente e che evidentemente hanno molto familiarizzato. In altre camere alcuni uomini commentano in dialetto programmi televisivi, infermiere entrano ed escono con la battuta sempre pronta, inservienti vanno avanti e indietro con carrelli carichi di prodotti per la pulizia. Una atmosfera di leggerezza piuttosto insolita in un reparto di ospedale. Solidarietà e voglia di comunicare sono udibili, oltre che percepibili. Forse perché dobbiamo fare i conti solo con noi stessi, non sono ammessi visite per la durata del nostro ricovero.
I miei orizzonti ospedalieri si estendono quando finalmente vengo portata in palestra.
Lì incontro pazienti che non avevo ancora conosciuto, alcuni operati da poco, altri quasi alla fine del percorso di riabilitazione. Nonostante qualche lamentela e qualche sospiro per il dolore, ci impegniamo tutti nei nostri esercizi. Il ritmo della giornata diventa più dinamico e mi sento di occuparmi attivamente del mio ginocchio. Mi sento meno malata e sulla via della guarigione.
Martedì 8 Dicembre
Le prime avvisaglie sono arrivate quando ci hanno chiesto di non lasciare la stanza. Dal fermento in corridoio è chiaro che qualcosa non va. Sento un rumore che posso solo interpretare come una grande aspirapolvere, oppure una macchina per la santificazione.
Ci ho visto e sentito giusto. Ci avvisano che una paziente è risultata positiva e che dobbiamo tutti venire sottoposti ad un nuovo test.
Io mi sento tranquilla. Il test del giorno precedente era negativo.
La mia tranquillità comincia a vacillare poche ore dopo quando mi sale la febbre, comincio a tossire, a sentire uno strano dolore al petto e mi sento debole.
Trovo mille motivazioni con me stessa e con i medici .
La sera precedente c’era una mareggiata incredibile e ho tenuto a lungo la finestra aperta per sentire le onde. Non mi capita tutti i giorni di addormentarmi con il fragore delle onde vicino.
“Sicuramente ho preso freddo e mi sono raffreddata.”
Sento gli sguardi scettici del medico ma rimango convinta della mia diagnosi: banale e stupido raffreddamento.
Mercoledi 9 Dicembre
La febbre non scende e mi sento completamente stremata. Mi sembra di avere un macigno sul torace, la mia temperatura corporea cambia continuamente, freddo, caldo, tremiti, sudate.
Il medico non esita: test rapido e verdetto rapido. Sono positiva al covid.
Di nuovo vengo messa davanti all mia vulnerabilità. Non mi ritenevo certo immune al COVID.
Ho sempre preso questo virus sul serio e già da Marzo ho seguito tutti gli accorgimenti e mi sono attenuta ai decreti vari con rispetto.
Da Novembre sempre più persone attorno a me sono risultate positive e per questo sono stata ancora più rigorosa. Ho rispettato le due settimane di quarantena pre- operatoria, uscendo solo per la spesa o un giro al mare in bici.
Non pensavo certo di potermi ammalare in ospedale proprio quando era il momento di occuparmi della riabilitazione del ginocchio.
E invece...
Sono distrutta, arrabbiata, triste, preoccupata, delusa, impaurita, confusa.
Sul reparto cala una nuova e inquietante atmosfera. Mi sembra improvvisamente di essere su un altro pianeta. Silenzioso, sospeso.
Il pesante e denso silenzio viene interrotto solo dal fruscio degli scafandri degli infermieri che entrano ed escono frettolosamente dalla mia stanza oramai contaminata. Nessun modo di sapere come stanno gli altri, nessuna comunicazione se non relativa al mio stato di salute.
Giovedì 10 Dicembre
Anche gli scogli davanti a me sembrano sospesi. Non sembra tirare un filo di vento, non un odore che rassicuri della normalità di quello che conosco.
Sembra che anche il mare si uniformi al mio stato. Non ci sono confini tra mare e cielo così come oggi stati di coscienza e di incoscienza si susseguono continuamente.
Non posso dire quale parte del mio corpo si sente male. Mi sento completamente svuotata, come se mi accartocciassi su me stessa e fossi sempre sul punto di perdere conoscenza.
Non mi riconosco più. Ho paura di addormentarmi perché ho paura di non avere le forze per risvegliarmi. Ma ho anche paura di stare sveglia.
La mattina è il momento peggiore per me. Non riesco a muovermi, mi sento schiacciata da un macigno che opprime il torace. Sento le forze vacillare pericolosamente.
Mi sembra che tutto sia irreale. Non riesco a capacitarmi di questa nuova realtà. Neanche il mare mi conforta, anzi, mi avvolge ancora di più in una sensazione di impotenza profonda.
Sicuramente la mente sta prendendo il sopravvento e rielabora tutte le notizie televisive e non solo che hanno accompagnato tutti noi da marzo in poi.
Il respiro però arriva, un po’ compresso ma fedele e tutto sommato fluido. Il battito è accelerato.
Non sento più nessun odore.
Io sono un animale da tartufo, dipendo dall’olfatto. Mi rassicura sentire odori famigliari e qui in ospedale ho già i miei capisaldi: entrando in bagno riconosco il profumo del sapone regalo di una amica combinato con il frizzante aroma del del bagnoschiuma alla menta, il confortante odore del detersivo usato per le candide lenzuola, l’odore dei miei vestiti che mi ricollegano a casa.
Mi continuo a riprendere che questo sintomo é irrilevante, non importa se per un po’ non sento. Trovo però inquietante questa sensazione .
E continuo ad annusare il mandarino nella speranza che qualcosa cambi.
Venerdì 11 Dicembre
In mattinata ancora l’inquietante sensazione di accartocciarmi su me stessa. La voce esce compressa, chiusa.
Finalmente il medico mi propone di iniziare una cura di cortisone, assicurandomi che i sintomi sarebbero cambiati velocemente.
Così è: cinque ore dopo sento il torace più leggero, le forze ritornare, mi sento risollevata.
Dall’assunzione del cortisone ogni giorno piccoli ma incoraggianti miglioramenti.
Posso di nuovo camminare su e giù per la stanza con le stampelle senza paura di crollare, posso lentamente riprendere la mia vita di ospedale come “umana” : leggere, ascoltare musica, parlare con gli amici.
Sono tantissime le persone che con delicatezza mi fanno sentire la loro presenza, il loro sostegno e il loro affetto: mia mamma, i miei fratelli e sorelle, i figli, gli amici.
Questo forte cordone d’amore mi sorregge, mi scalda il cuore e di certo conserverò tutti nella memoria. Capisco che non sia facile starmi vicino in questo momento, richiede sensibilità . Sono scostante, vorrei parlare, raccontare ma parlare mi stanca. Ricevo messaggi, video e immagini, brani musicali e non sempre posso rispondere a tono.
Qualche giorno fa ho visto mio figlio appena rientrato dalla Germania dalla finestra e anche solo vederlo da lontano ha rischiarato la mia giornata.
So di dover pazientare adesso, ricevere le cure, riposare, guardare il mare e aspettare il prossimo test negativo.
Inutile forzare le cose. Lascio in pace il mandarino: non posso obbligarlo a farmi sentire il suo profumo. Immagino che il giorno che lo sentirò di nuovo sarà un giorno memorabile.
Il vento cambierà di nuovo.
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