Inesorabilmente è arrivato il fatidico Martedi 1 Dicembre.

Anche Valeria è arrivata con la sua macchina blu, prima dell’alba.

 Nessuno può accompagnarmi oltre la porta della clinica e non potendomi neanche lasciare confortare da un abbraccio, entro con determinazione e gambe tremolanti. 

Ritrovo il mio attempato compagno di sala operatoria, un robusto, vivace e allegro riminese. La sua tranquillità mi calma un po’.

Concluse le pratiche burocratiche vengo  accompagnata proprio nella stanza che avevo visualizzato e desiderato da quando avevo preso questa decisione. Camera con vista mare. Vista mare vuol dire veramente vista mare. A pochi passi dal mare. Così vicino che sento l’infrangersi delle onde! Se potessi scendere e attraversare la strada potrei immergere i piedi in acqua! 

Non ho il tempo di disfare la valigia. Sono la prima protesi come mi chiamano gli infermieri. 

Il loro modo di fare, di scherzare, la semplicità e l’affettuosità che manifestano mi alleggeriscono la tensione. Mi lascio coccolare dai loro complimenti:

“ Ma sei una burdella! Come sei abbronzata! Come sei lunga! Che fisico!”

In un momento come questo la  cordialità e simpatia che contraddistingue molti romagnoli é veramente provvidenziale.

Il preparatore in sala operatoria non è riminese ma é altrettanto accomodante e caloroso. Durante la temuta anestesia spinale mi sento ricoperta di  comprensione  e attenzione. 

Mi tiene informata sui miei valori e ripete che denotano uno stato fisico tranquillo e rilassato. 

Sono tranquilla perché mi sento accudita e in buone mani. 

Finalmente entra il giovane ed affabile  chirurgo. Mi ricorda che la decisone sul tipo di protesi la dobbiamo prendere insieme. MI viene quasi da ridere perché non mi sento certo in grado di prendere alcuna decisione, neanche se sollevare o abbassare un braccio, figuriamoci il tipo di protesi. Le lastre e soprattutto il ginocchio stesso, una volta esposto nella sua essenza e non più nascosto dalla rotula decide da solo: protesi totale e non compartimentale come sperato.

L’anestesia comincia a fare effetto.

Riconosco il perimetro delle gambe e so dove si trovano le dita dei piedi, e tutto il resto, ma i suoni che mi arrivano non corrispondono ad una percezione di dolore. 

Avevo chiesto di venire sedata per non sentire odori, rumori ma non è così. A posteriori ne sarò  orgogliosa. Ho almeno una chiara idea di quello che succede momento per momento. Sento il rumore della sega, del trapano, delle martellate e odori che identifico ma vi  risparmio.

Nessuna idea del tempo. Fine dell’intervento. 

Vengo riportata in stanza con flebo e tubi vari e  ascolto il corpo. Anzi la metà del mio corpo. 

Non mi rendo neanche conto di come sono sistemate  le gambe. Tra tubi vari e parti insensibili sono incapace di muovere un muscolo. 

Ho solo immagini fluttuanti davanti a me. Immagini poco piacevoli, cupe e a volte paurose. Passato, è presente si mescolano e creano un caleidoscopio a volte inquietante. Credo che sia l’effetto della morfina. 

Pian piano le dita si risvegliano e gradatamente il resto delle gambe e bacino. 

Mi sento impotente, tremebonda e impaurita. Cosa succederà adesso?  

Riesco a sostenere qualsiasi meditazione, esercizio di respirazione o visualizzazione solo per un brevissimo lasso di tempo e non ne ottengo grandi benefici.

A monosillabi e con grande fatica rispondo alle telefonate di famigliari e amici. Mi fanno sentire amata, coccolata, ma trovo ogni comunicazione impegnativa.

Mio figlio Giacomo cerca di instaurare lunghe e confortanti conversazioni ma non posso dare alcuna soddisfazione. Le parole escono a fatica e devo sforzare le palpebre per tenere gli occhi aperti. 

Il male comincia a farsi sentire, sempre più intenso. Non oso pensare come sarebbe senza terapia!

Non so in quale posizione  stare, non so cosa posso fare per migliorare la situazione, male, irritazione, paura aumentano. Provo allora  con quello che il mio corpo ama profondamente: la musica.

Mi metto in cuffia una interminabile playlist dal conclamato valore terapeutico : Emiliano Toso. 

Funziona. Mi lascio avvolgere dai suoni e riesco a calmare la mente impaurita. 

Prendo sonno avviluppata da suoni morbidi. 

Anche se il sonno è ad intermittenza è rigenerante. 

Vengo accudita, pulita, assistita nel cambiarmi, mossa gentilmente e delicatamente.

 Fino a quando non cominciano a togliere il drenaggio e via via tutto il resto. 

Comincia una nuova fase, la fase della mobilizzazione. Mi viene chiesto di piegare ed estendere la gamba. La mente capisce, il corpo no. Frena, offre resistenza. O forse è solo la mente che si frappone e anticipa un dolore che potrebbe anche non arrivare mai. Comincia una lunga battaglia tra mente, corpo, emozioni e spirito. La mente dice:

“ Siete matti, cosa credete di fare a due giorni dall’operazione?”

 Il corpo  ascolta la mente e irrigidisce i muscoli.  

“ Che abbia ragione, forse vogliono farci del male. Posizione di difesa assoluta.”

Le emozioni si mettono in mezzo. 

“ Poverino, come sei ridotto ginocchio, sei irriconoscibile, sei gonfissimo, sei una specie di grossa palle di dolore, Riuscirai mai a riprenderti?” 

E lo spirito sentenzia: 

“ Voglio fare a modo mio, quando sono pronto muoverò la gamba, non prima.”

Per fortuna queste discussioni personali trapelano solo in parte alla mia fisioterapista, abituata a nuove protesi e la sua determinazione nel voler piegare a forza il ginocchio mi sembra crudele.  

Un infermiere di passaggio dice semplicemente: con le protesi bisogna fare così. Muoverle subito. Questo miracolosamente fa presa su di me e vengo a compromessi con la terapista. Comincio a fidarmi di lei e del ginocchio nuovo.

Le risposte del ginocchio ai trattamenti anche bruschi sono evidenti.

 Ogni giorno movimenti che il giorno prima  sembravano impossibili diventano possibili. 

Il quarto giorno capisco che Emiliano Toso non mi fa più bene, mi riporta alla situazione dell’immediato post- operatorio così cambio radicalmente  genere musicale.

Mi capita di ritrovare le playlist delle ultime lezioni di Nia alla quale ho partecipato come allieva, consapevole che sarebbe stata l’ultima per un pò. 

Avevo scelto di concedermi Grease con la mia cara amica e collega Kelle Rae Oien. Non poteva essere più azzeccata. 

Il mio corpo rivive subito le sensazioni, l’energia e la gioia che aveva provato il sabato prima. Rivedo le espressioni della mia amica, ricordo le sue battute.

Le gamba destra  comincia a piegarsi e a distendersi con una nuova forza che si ripercuote in tutto il corpo. 

Guidata dalle parole del brano di Grease  brividi di forza vitale risalgono  dai pedi e attivano  tutto il corpo.” I’ ve got chills.”

Dopo pochi minuti immagino  i movimenti che potrei fare, sento la gioia di muovere un ginocchio nuovo. 

Ventun  anni di Nia impressi nelle cellule, nelle fibre muscolari, nei tessuti non si lasciano spaventare da elementi estranei.

 Dolore  e gioia si intrecciano e questa volta la gioia insegna  al corpo, senza troppi dialoghi ed interferenze, ad accettare  e a rispettare il  dolore. 

Ė un momento speciale, davvero da brividi.

Adesso so cosa fare e sono anche consapevole che non sarà sempre tutto in discesa. 

Già adesso infatti mi lascio un po’ abbattere dalla nausea procurata dalle terapie anti dolore. 

Dovrò letteralmente affrontare un passo alla volta, step by step. 

Qualche volta potrò ricaricarmi con ritmi sostenuti ma sicuramente ogni tanto dovrò frenare la fretta e aspettare che suoni e vibrazioni lente calmino e guariscano  il mio corpo.

 Il ricordo dell’ultima lezione tenuta con amiche care mi scalda il cuore e il corpo. So che mi aspettano e credono nella mia ripresa! 

Anche io.

Sarà un nuovo Step in.