Dopo la pubblicazione dell’ultimo blog sono stata avvolta da una calda coltre d’affetto che ha rilassato il mio scombinato sistema nervoso. Come se le mani delle tante persone che mi hanno scritto, chiamato, pensato si fossero posate sulle mie spalle e mi avessero  riportato con i piedi per terra. Mi avete rassicurato, sostenuto e fatto sentire la forza della solidarietà, dell’amore.

Ho sentito la vibrazione affettiva  delle parole. Non erano  vuote parole di circostanza, ma parole che sono arrivate dritte al cuore. Parole che mi sono rimaste  impresse come preziose gemme che brillantanti in momenti cupi. 

Non ho voluto la televisione. Anche a casa la guardo poco e malvolentieri soprattutto da sola. Figuriamoci in ospedale. Già mi risuona da ogni altra stanza. No, ho gestito il silenzio, il mio spazio di guarigione adeguandomi agli orari della vita di ospedale. La mia vita qui è scandita dall’entrata e uscita di infermieri quasi irriconoscibili nei loro scafandri anti Covid.

La prima entrata, misurazione della temperatura, pressione, saturazione del sangue, antidolorifici. 

Finalmente la tanto attesa quanto poco soddisfacente colazione: una misera tazza di The tiepido- contro i litri di varie bevande bollenti che sono solita bere a casa- un pacchettino di due mini biscotti, due mini fette biscottate con una confezione da bambini di marmellata. In un attimo la colazione diventa solo un insipido ricordo. 

Con più o meno enfasi a seconda dei giorni comincia l’azione “umanizzazione”. Nelle limitatate possibilità di movimento e con la limitazione della calza antitrombosi che non posso ancora togliere comincia il lavaggio e la cura del corpo. Sono fornita di  una ottima collezione di saponi, detergenti, creme naturali e dai profumi stimolanti e invano ogni giorno spero di sentire qualche novità olfattiva. Niente. Ma già poter lasciare il piede destro, che  finora era solo una remota parte del corpo, sotto l’acqua mi risolleva lo spirito. Quanto mi manca un vero e proprio bagno, sentire il morbido abbraccio dell’acqua. Ma anche questo lavaggio parziale porta benessere e  freschezza. Riassumo una parvenza umana.

Mi sono prefissata  due tipologie di abbigliamento in ospedale: giorno e notte. Ridicola decisione forse ma necessaria per la mia salute mentale. L’abbigliamento diurno consiste in maglietta diversa dalla notte, pantaloncini corti, calze e felpa. Mi serve autodisciplina, una struttura quotidiana, sapere che la giornata comincia, che notte e giorno  non si mescolano  in modo uniforme e che la vita ha inizio.

Con una certa tristezza valuto la perdita di tonicita dei muscoli delle gambe dopo tre settimane di minima mobilità. Basta veramente   poco per perdere elasticità, forza. Ringrazio le mie sane abitudini di movimento e la necessità fisiologica di muovermi che mi fa accettare anche il percorso da elefante in gabbia avanti e indietro lungo la mia camera. Ma anche creando il solco nella stanza posso rallentare e soffermarmi all’ascolto di ogni passo, ascoltare le sensazioni del ginocchio che si piega ogni giorno un po’ di più. Apprezzo l’appoggio del tallone e la propulsione in avanti. Saggio la nuova stabilità della gamba destra, il nuovo assetto delle  ossa e il tempo passa andando su e giù per la stanza. 

Metto un po’ di musica e il  corpo risponde, riprende energia, ritmo e particelle di gioia riprendono a brillare chiaramente. Cerco musica insolita, che esuli dalle mie abitudini e che mi fornisca spunto di movimento nuovo per il mio nuovo assetto osseo.

 La mia attività sociale comincia molto presto con la telefonata di mia mamma. Pur di starmi vicina mia mamma ha sintonizzato i suoi orari a quelli dell’ospedale e ha spostato i suoi pasti più vicini possibili ai miei. Questa solidarietà mi commuove e me la  fa sentire vicina. 

In fondo devo ringraziare l’isolamento. La mia intensa  vita sociale non sarebbe certo gradita da altre compagne di camera. Ho chiamate, videochiamate e messaggi a tutte le ore e in tutte le lingue. 

La mia piccola stanza d’isolamento si espande ad ogni contatto con l’esterno grazie alle persone che mi sono vicine. 

Mi lascio  trasportare in altri paesi, mi sento partecipe di tante diverse vicissitudini quotidiane delle persone a me care.

Vengo a sapere cosa combinano i figli di Karen in Scozia, cosa ha cucinato Jinti, sorrido nel  vedere come è stato tirato in versione natalizia il cane di Mariagrazia a Milano. 

I miei fratelli e le mie sorelle mi chiamano velocemente in brevi pause di lavoro e riesco ad immaginare quello che stanno facendo in studio, a scuola, mentre vanno in bici da una parte all’altra di Bologna. 

La mia amica Dorit di Londra mi coccola mangiando per me tavolette di squisita cioccolata extra de luxe e mi racconta delle sue lezioni di Nia e dei suoi training. Mi  tiene collegata a Nia.

Patrizia di Cuneo mi chiama e mi racconta delle sue passeggiate in città, della neve che é caduta abbondante, della Bisalta che si staglia dalla sua finestra, della sua ricerca dell’ albero di Natale. 

Mi racconta dei suoi incontri di gruppi filosofici, racconti che in realtà fatico a seguire ma che sicuramente fanno bene alla mia testa un po’ ovattata. 

I miei figli mi tengono compagnia ognuno a modo suo. Giacomo ha capito che non mi giova se  mentre mi parla e racconta si muove avanti e indietro o fa saltelli o verticali e quindi adesso si limita a stare seduto, cosa che gli costa sicuramente fatica. Cosimo manda personaggi di Manga che dovrei riconoscere ma che invece non ricordo affatto e foto di Venezia natalizia.

Lori mi da consigli pratici: lavati una maglietta, lavati le calze così hai anche un impegno. Eseguo e in effetti fa molto piacere indossare la maglietta pulita, probabilmente profumata. 

Floriana mi racconta della scuola, dei ragazzi che conosco e che ormai sono in quinta e mi riporta ad un periodo della mia vita ormai concluso, ma che ricordo con piacere e a volte con un po’ di nostalgia. 

Cristina mi manda foto del gatto che gestiamo come co-mamme. Per noi è sempre il gatto più bello del mondo e gli perdoniamo il suo carattere altezzoso, sprezzante e ci illudiamo  sempre che prima o poi forse si ammorbidirà e ci darà qualche manifestazione di affetto, cosa che non è ancora mai avvenuta. 

Vedere il musetto di quel gatto e lo sfondo della famigliare casa di Cristina mi fa sorridere e mi fa quasi sentire il profumo di quel liscio pelo grigio che tanto mi manca. 

Valentina mi ricorda che appena mi riprendo mi porterà una delle sue famose torte vegane e scherziamo sul fatto che dovrò aspettare di riprendere il gusto in fretta. Due care Alessandre mandano riprese video delle spiagge di mari diversi lungo i quali camminano. 

Nel primo pomeriggio, mi chiama Casey dal lontano Nord Est americano durante la sua passeggiata lungo il campo da golf che in inverno diventa parco pubblico. E così mi sembra di camminare con lei in un  paesaggio sfavillante di brina mentre sento il crepitio dei suoi passi sulle foglie ghiacciate. Come sono fortunata! 

Poi torno con Piera nella Pianura Padana, con Antonino lungo la sua passeggiata lungo il Marecchia , con Francesco nei suoi spostamenti di affari. E così via telefonata dopo telefonata, messaggio dopo messaggio, ancorata a questo letto ma in realtà in giro per il mondo con amici e famigliari. Cosa volere di più. 

E tra una telefonata e un’altra mi tuffo nei libri che mi trasportano in altri mondi ancora.

E arrivano pranzi e cene che urlano bontà. Si capisce che sono piatti sopraffini anche se non posso assaporarli. Un giovane infermiere  mi porta il pranzo e la cena  sorridente  dicendo: “ Questa pastasciutta la sentirai di sicuro, vedrai! “  E poco dopo passa per sincerarsi. Io mangio con appetito e sento la qualità e la consistenza speciale delle vivande, ma no, nessun sapore, nessun odore. Devo purtroppo deluderlo.

Davvero più che azzeccato definire angeli o eroi il personale degli ospedali in questo momento Sono ammirevoli. Non una lamentela per gli scafandri che indossano così a lungo, con le visiere che si appannano, con le mani inguantate costantemente e mascherine calate. Ormai ci conosciamo e anche se cerco di non arrecare ulteriore lavoro, ma vedo che  la loro solerzia è encomiabile. Mi circondano di cure e attenzioni con occhi sorridenti e parole di incoraggiamento. I fisioterapisti sono la mia ancora quotidiana. Non saprei come fare senza di loro e le loro spiegazioni scientifiche. Fanno il tifo per me. Non lasciano trasparire la  paura che sicuramente provano per loro stessi e per le loro famiglie alle quali fanno ritorno dopo i turni. Non dimenticherò mai questi visi e queste mani gentili.

Oggi questi angeli che ormai conosco da 20 giorni vanno in meritata vacanza. Che sia ora anche per me?  Adesso questa camera comincia a starmi stretta. Tengo tutte le dita incrociate!