Da quando mi hanno cambiato camera per avere tutti i pazienti positivi dell’ospedale in uno stesso reparto, la mia disciplina e forza di volontà hanno cominciato a vacillare. 

Gli infermieri che conoscevo dal momento dell’intervento e con i quali avevo familiarizzato sono andati in ferie. Ho risentito del cambiamento del personale e mi sono mancati i loro commenti e la loro vicinanza.  Inoltre è cambiata la visuale  dalla mia camera che era stata fonte di grande calma. Anche dalla nuova camera potevo vedere il mare ma non ne avevo più la vista diretta. 

Ora in primo piano avevo l’entrata dell’ospedale e la strada. Il mare era solo una striscia lontana , oltre le dune. Non potevo certo lamentarmi. Se mi fosse capitata la  stanza di fronte avrei avuto la vista sul parcheggio dell’ospedale. 

Questo semplice e apparentemente innocuo cambiamento di stanza e di prospettiva ha inizialmente creato  instabilità e tristezza. Unico forte collegamento con il reparto precedente erano  i fisioterapisti e il medico di reparto. 

I fisioterapisti in questa fase hanno costituito una vera e propria ancora di salvezza. Contrariamente agli infermieri, sempre affaccendati, loro si potevano dedicare maggiormente a noi pazienti. E così gli incontri con i fisioterapisti sono diventati terapeutici in tutti i sensi. 

Sono diventati un fortissimo sostegno psicologico oltre che fisico, una forte dose quotidiana di serenità, speranza e fiducia. 

Ogni fisioterapista a  modo suo ha contribuito al mio benessere. Mi hanno dato conferme sulla buona mobilità del ginocchio, mi hanno pazientemente spiegato le varie fasi dell’operazione, hanno ascoltato le mie preoccupazioni, mi hanno rassicurato. E allo stesso tempo hanno raccontato di loro stessi, mi hanno reso partecipe della loro vita. Non credo che in molte altre parti del mondo potrei  trovare un tale livello di apertura, confidenza e  famigliarità. 

Anche in questo reparto il tempo era scandito dai pasti, dalla somministrazione dei medicinali, ma il tempo mi sembrava dilatato, le giornate interminabili. La mia insofferenza al letto di ospedale cresceva di giorno in giorno insieme al mio mal di schiena. Dovevo compensare con camminate avanti e indietro per la stanza, con movimenti con la musica, con allungamenti. Più deboli diventavano i sintomi del Covid e il male al ginocchio e meno sopportavo la situazione ospedaliera. Ma i tamponi continuavano a mostrare esito debolmente positivo indipendentemente dal fatto che il Natale si stava avvicinando. 

Quando l’ennesimo indesiderato referto del 23 Dicembre confermava la solita situazione ho preso la decisione di parlare con il medico e con il suo assenso e quello dei miei figli, ho chiesto di venire mandata a casa assicurando l’isolamento fino al 30 Dicembre. 

In pochi minuti ho fatto la valigia e pazientemente aspettato l’ambulanza. 

Nonostante le stampelle, l’emozione di arrivare a casa mia era così forte che ho fatto le scale di volata con un preoccupato ambulanziere dietro di me che mi chiedeva continuamente di andare piano. Mi sentivo le ali ai piedi, il cuore pieno di gioia. Non credo di essere mai stata così felice di tornare a casa. 

Mi sono precipitata nella mia stanza, chiuso varie porte tra me e i figli e costruito il mio nido di isolamento . In camera mia la vita è cambiata completamente. 

Prima di andare in ospedale avevo predisposto la stanza per il post operatorio e preparato quello che mi sarebbe servito  per la riabilitazione.

La prima cosa che ho fatto arrivata a casa  è stato salire sulla cyclette e scoprire che il ginocchio rispondeva benissimo alla pedalata. Sarei rimasta a pedalare per ore se non mi fosse stato chiaro il messaggio dei fisioterapisti: gradualmente. E così ho cercato di imprimere nella memoria questo concetto, poco famigliare per una come me che generalmente si butta a capofitto in tutto. Step by step. Un passo alla volta. Non devo bruciare le tappe. 

I miei figli, di stampo tedesco, si sono attenuti rigidamente alle regole dell’isolamento. Così rigidamente che non mi hanno neanche parlato dal balcone. Si sono manifestati però ottimi cuochi e, dopo lunghe consultazioni ad ogni pasto, abbiamo sempre concordato un menu che potesse andare bene per tutti.

I pasti mi vengono lasciati su un tavolino in balcone e una volta assicurato il loro rientro in casa, posso prendere le cibarie che consumo in camera. Da quando sono tornata però mangiamo insieme con il video e mi sembra quasi di essere con loro in cucina. Così abbiamo cenato insieme e trascorso Vigilia, Natale e Santo Stefano insieme e separati solo da un muro e due porte.

Anche solo sentire i ragazzi muoversi in casa mi fa sentire vicina a loro e ne sono grata. Capisco che avere in casa una persona positiva crei una certa tensione. 

In camera mia posso finalmente gestire il mio tempo, muovermi e riposare quando voglio, anche se gli orari ospedalieri sono rimasti ben impressi nel mio sistema nervoso e alle 6 sarei già pronta per la cena. Gradualmente sto riassumendo orari civili. 

Ho cominciato con gli allenamenti seguendo uno schema assegnato dall’ospedale. A questi esercizi ho aggiunto la cyclette, caldamente consigliata e chiaramente Nia. 

Ogni giorno faccio una o due lezioni di Nia per lo più seduta, ma anche alternando movimenti in piedi a movimenti da seduta. 

Da 21 anni apprezzo e ammiro la duttilità e la completezza di Nia che veramente attiva ogni muscolo e ogni articolazione ma soprattutto adesso che ho i movimenti limitati posso veramente sperimentare su di me la valenza terapeutica di Moving to Heal, muoversi per guarire. Dopo un’ora di Nia praticata da seduta sento tutto il mio corpo energizzato, sento il respiro più profondo, sento le articolazioni sciolte, la pelle più tonica. Mi sento di aver attivamente fatto qualcosa per me e per il mio benessere. Ma oltre ai benefici fisici, sento che la mente si è calmata, che le emozioni positive sono riaffiorate e mi sento di essere tornata completa e me stessa. 

Continuerò a fare pratica di Nia seduta e in piedi come parte della mia riabilitazione rispettando la gradualità necessaria e questa volta mi impegnerò a non affrettare nessun processo. 

In fondo Ii mio ginocchio dovrà ringraziare il Covid.  Mi sarei rituffata nella vita di tutti i gironi in maniera diversa.

Mi riaffaccerò al mondo gradualmente.