“Giù dalle brande. Oggi è domenica, una bellissima giornata. Preparatevi, andiamo ai Giardini Margherita.”

“ Ma papà, sono le 7, è domenica. Possiamo andarci anche più tardi.”

“ Macché macché, macchè. Di mattina  è meglio. Facciamo colazione e si parte.”

“Sofia, Giovanna, prendiamo i pattini o la corda da saltare? O tutte e due?”

“Letizia, vai prima tu in bagno, io sto a letto ancora 5 minuti.”

Nel giro di 20 minuti sette bambini sono seduti a tavola a fare colazione, “stirati e pettinati “ come dice la mamma. Pettinati tutti con un inconfondibile taglio “Virginia”. 

Il taglio Virginia è molto semplice. Mamma Virginia ha adottato questo stile che ci contraddistingue come unità  famigliare. Non ci sono varianti maschili o femminili. Caratteristica fondamentale  del taglio: più corto possibile. Pratico, veloce, ordinato e pettinato.

Le brande dalle quali noi sette scendiamo di domenica mattina all’alba mentre i nostri amici ancora sono nel beato mondo dei sogni, vengono rapidamente  chiuse nei loro rispettivi armadi e del nostro sonno non c’è alcuna evidenza. Le camere risultano trasformate in ambienti di studio o semplicemente di passaggio.

Mio padre usa un linguaggio tutto suo, un linguaggio influenzato dai momenti salienti della sua vita. Le brande e tanti altri  termini gli sono rimasti appiccicati dai tempi degli alpini. 

La laurea in agraria e gli studi a Milano hanno lasciato altre indelebili tracce semantiche. 

“Ti sei lavata le zampe?”

“Hai un baffo di cioccolata sul muso.”

Peccato che la contaminazione con il tedesco parlato in Alto Adige non abbia invece lasciato ricordi. In compenso la vita a Bressanone ha influenzato il rapporto di mio padre con la natura e il movimento e di conseguenza anche il nostro.

Quando non è possibile fare diversamente le domeniche mattine ai Giardini Margherita diventano  il formato cittadino di abitudine montanare.

Le luccicanti rocce di gesso davanti alla biblioteca si trasformano per noi in piccole palestre di arrampicata. Lo stagnante laghetto dei Giardini diventa un surrogato domenicale dei profondi laghi alpini. Ci arrampichiamo sui salici piangenti e scorrazziamo per il grande prato centrale.

Noi figli non abbiamo la facoltà di opporci in alcun modo alle esportate consuetudini montanare.

Non c’é via di scampo. 

Possiamo solo chiedere timidamente : “Giro lungo o giro corto?  Pattini o bici? Corda o pallone? “

Non potendo mettere sette  biciclette nella macchina, noi grandi dobbiamo per forza optare per i pattini che ci infiliamo già prima di salire in macchina. 

Una volta imparato a pattinare i nostri genitori non hanno fatto economia sul tipo di pattini.

Per fortuna mio padre ha un detto che gioca a nostro favore.

“Per lo sport e per i libri i soldi ci sono sempre.”

Abbiamo quindi pattini di buona qualità, solidi, allungabili e abbiamo imparato a tenerli con cura : sappiamo cambiare e tenere lubrificati i cuscinetti, sappiamo tenere bene i cinturini di pelle e soprattutto abbiamo imparato a non consumare i freni anteriori alla prima discesa. 

Io e le mie sorelle saliamo in macchina con i pattini già saldamente calzati provocando un famigliare ed emozionante sferragliamento, per poi catapultarci subito per la prima grande discesa dei giardini. Forse camminando non si nota la grande discesa, ma per noi il leggero dislivello iniziale è emozionante: ci fa prendere  velocità e cominciamo con sprint le nostre spensierate scorribande, giro dopo giro. 

I fratelli piccoli arrancano dietro di noi sulle loro mini bici, gli altri giocano a calcio. 

“Ci vediamo alla macchina.” 

Ad un segnale convenuto ci ritroviamo tutti felici e con le guance rosse alla macchina. 

Dal colore delle gote  potremmo davvero sembrare bambini di montagna. 

Tra schiamazzi vari e stringendoci tutti facciamo ritorno a casa. 

Dopo il controllo delle zampe ci sistemiamo a tavola per spazzolare via  voracemente  tutto quello che ci troviamo sul piatto. Nessuna protesta. Il movimento  ha placato tutti noi e  fortunatamente anche nostro padre che per un pò ci lascerà riposare.

In estate tutto cambia: gli orizzonti si allargano. Quattro mesi di libertà, a piedi nudi e in costume da bagno. 

Tutte le attività balneari possibili. Basta aprire gli occhi e si presentano occasioni: una canoa che non vogliono riportare in Germania, un surf di quarta mano, gommoni da gonfiare continuamente perché non completamente stagni. 

Oltre alle escursioni su precarie flotte di imbarcazioni improvvisate verso gli irraggiungibili pozzi di petrolio,  non ci facciamo mancare nuotate di massa e individuali, con pinne, senza pinne, corse, giochi in spiaggia a tutte le ore. 

La spiaggia diventa la nostra casa. Ne conosciamo a ogni granello. 

In fondo cosa differenzia il campeggio al mare da Bressanone: anche qui gli ingredienti base sono aria aperta e infinite attività possibili. 

Noi bambini in movimento cresciamo e diventiamo adulti in movimento. 

Dopo aver ricevuto una educazione così, quando qualcosa va storto, ad esempio un ginocchio, non è  possibile darsi per persi. 

Non mi sono data per persa. Anche se stavo per farlo. Ma ho trovato Nia. 

Nia mi ha fornito gli strumenti  per non perdere la preziosa percezione di dinamicità imparata da bambina e coltivata da adulta. Anche con il problema della mia “zampa” destra. 

Questa tecnica mi consente di di calibrare il movimento, di adattarlo consapevolmente e di migliorare sempre il mio potenziale. In lingua Nia si chiama Dynamic Ease, agio dinamico. 

Mi sento energica, agile anche se non corro o saltare e non sforzo il ginocchio. 

Il dolore che provo nel camminare per tempo prolungato, non si ripresenta quando ballo grazie ai continui cambi di posizione e di trasferimento di peso. Quando cammino mi sento limitata, quando ballo mi sento le ali ai piedi. 

Gli ortopedici si meravigliano del mio grado di mobilità articolare e del fatto che non faccia uso di antidolorifici. So che la mia cura è il movimento. 

Se non mi muovessi non mi riconoscerei.

Adesso però è arrivata l’ora di farmi curare la zampa!

“ Giù dalla brande, bisogna intervenire!”