Grazie al mio lavoro incontro sempre molte persone diverse.
Ma sempre più spesso, con grande dispiacere, sento persone autocommiserarsi per il proprio stato di salute.
Mi capita spesso di sentire rassegnazione e passività. “No, io non posso fare movimento perché ho mal di schiena, di testa, male alle ginocchia….”

Fortunatamente ho anche tanti esempi di persone che proprio perché hanno qualche acciacco o problematiche più o meno gravi, capiscono l’importanza del movimento o anche solo della possibilità di attivarsi in qualsiasi modo per la propria salute.
E invece di autocopatirsi e di dire : “So di dover fare qualcosa per il mio corpo.”

Fanno veramente qualcosa. Scelgono l’azione alla passività.

Qualsiasi sia il tipo di problematica che dobbiamo affrontare possiamo contribuire ad un miglioramento del nostro stato, con il movimento ma non solo.

Il nostro essere ha incredibili risorse che possono venire attivate. Sta a noi utilizzarle o meno.
Sono fermamente convinta di questo perché oltre ad ammirare esempi di persone intorno a me l’ho provato sulla mia pelle.

Ultimamente si parla molto di Salutogenesi, temine coniato da Aaron Antonovsky.

Si dice Salutogenesi “ Tutto ciò che crea salute ovvero tutto ciò che permette alle persone, anche in situazioni di forte avversità (un trauma, una malattia cronica, la disabilità, precarie condizioni socioeconomiche, ecc), di compiere scelte consapevoli di salute utilizzando risorse (interne ed esterne) accrescendo le proprie resilienza e capacità pro-attiva.

Il termine Salutogenesi è formato dalla parola latina salus,
salutis = salute, e dalla parola greca genesi = origine, inizio, derivazione.

La Salutogenesi si occupa quindi delle “cause”, o meglio delle “fonti” della salute. “

E ancora : “la salute è concettualizzata come un continuum salute-malattia in cui ciascuna persona si può collocare in un dato momento della sua vita. Ciò significa che, in qualsiasi punto del continuum una persona si trovi, potrà disporre sempre di risorse e opportunità per spostarsi verso il polo della salute.”

Dipende quindi spesso dalle nostre convinzioni, da quello che pensiamo e dal nostro grado di perseguire quella che Antonovsky definisce coerenza.

A questo proposito trovo sempre illuminante la metafora buddista delle due frecce.

La prima freccia simboleggia il dolore fisico vero e proprio, la percezione della freccia che penetra la carne, la seconda invece rappresenta la nostra reazione alla prima freccia. Come ci poniamo rispetto al dolore o alla malattia?

Ci lamentiamo, ci biasimiamo, ci arrabbiamo, ci sentiamo impotenti, ci sentiamo malati? Certo, è una prima reazione possibile e normale. È però importante esserne consapevoli.

Una volta che siamo consapevoli delle nostre emozioni, della nostra reazione al dolore, abbiamo la possibilità di schivare la seconda freccia. Abbiamo sempre diverse opzioni.

Prendiamo il caso di un problema cronico: male alla schiena. Una freccia fisica.

Come ci può colpire la seconda freccia?

La seconda freccia potrebbe portarci alla convinzione che il dolore alla schiena sia sempre in agguato e ci precluda qualsiasi attività , qualsiasi forma di miglioramento.

“No, non posso muovermi perché ho mal di schiena.”

Non ci si soffermiamo quindi neanche più a sentire la differenza tra dolore lieve, intenso o moderato, magari a seguito di posizioni specifiche. Magari, data la nostra convinzione, non ci rendiamo neanche conto dei momenti in cui la schiena non fa male, oppure del sollievo provato dopo un movimento specifico. Può succedere che, focalizzati sul dolore alla schiena, non sentiamo nessuna altra sensazione che potrebbe essere piacevole. Come se tante frecce fossero conficcate perennemente in ogni parte del corpo.

Siamo braccati.

Facciamo affidamento solo ed esclusivamente ad aiuto esterno: l’osteopatia, il fisioterapista, i medicinali.

Finiti gli effetti dei trattamenti o dei medicinali ci ritroviamo con le nostre dolorose frecce.

Proviamo ad immaginare uno scenario diverso.

Arriva il dolore alla schiena, prima freccia.

Sentiamo arrivare la seconda freccia: “Ecco, lo sapevo, adesso mi rimane per tutto il giorno, siamo alle solite.”

Ma questa volta, consapevoli della direzione dei pensieri affrontiamo il dolore in maniera diversa, con curiosità, attenzione alle sensazioni, con accettazione e da “scienziati delle sensazioni”, dicendoci: “Vediamo un pò come è oggi.”

E magari proviamo diversi movimenti, respiriamo con attenzione alla schiena, facciamo il tapping, ci sdraiamo a terra e muoviamo la colonna dolcemente, oppure muoviamo le spalle. Facciamo tentativi, esplorando nuove possibilità ogni giorno.

Insomma facciamo qualcosa per migliorare il nostro stato. Creiamo un ambiente positivo sia internamente che esternamente.

E se la freccia alla schiena non lascia tregua, forse possiamo sentire la piacevolezza del movimento delle caviglie, o delle ginocchia, oppure addirittura provare con un delicato movimento del bacino o della testa. Possiamo dedicarci un pò di tempo. Ascoltare un brano che ci piace, una lettura confortante o semplicemente guardare il cielo o un fiore o un viso caro.

Facciamo di tutto per collocare il nostro malessere in un contenitore piacevole: ci coccoliamo anziché rimanere passivi e autocommiserarc. ci prendiamo cura di noi stessi a tutto tondo.

Spostiamo attivamente la bilancia verso il polo della salute e utilizziamo tutte le nostre risorse.

Consapevoli che tutto cambia, anche il dolore, sia esso fisico, emotivo o solo mentale.

Se non possiamo sempre schivare la prima freccia, almeno possiamo schivare e deviare la seconda.